Uccidere invece che assistere: gli angeli della morte.

Uccidere invece che assistere: gli angeli della morte.
PIOMBINO. I recenti fatti di Piombino, in cui vengono rivelati ben 13 omicidi ad opera di una infermiera in un reparto di Rianimazione, destano orrore. Di recente c’è stata poi la condanna per un omicidio dell’infermiera di Lugo sospettata di molte altri morti procurate, in una struttura residenziale, ai danni di molti ricoverati. Periodicamente la sanità si tinge di nero e racconta storia criminali che vedono infermieri, medici o altri operatori sanitari protagonisti di molestie, sevizie, efferatezze, omicidi. All’orrore si aggiungono lo sconcerto e il rifiuto di una ferita profonda che procura dolore come uomini e come professionisti, e in risposta i comportamenti oscillano dalla condanna tout court, alla ricerca forsennata di un perché, una causa, un dato che possa far capire come può accadere che un “angelo” si trasformi in un “demonio”; nella consapevolezza che i fatti che salgono agli onori delle cronache rischiano di essere la punta di un iceberg le cui dimensioni ipotetiche destano spavento e portano a chiedersi quante sono le morti non accertate e a cosa potrebbero essere legate, a quali cause: volontà, imperizia, pazzia, depressione, cattiveria, e cos’altro.
Se esiste la depressione post-partum, non è forse ipotizzabile una alterazione grave dell’umore correlata sul piano clinico a ricadute criminogene che, sia ben chiaro, non possono avere alcuna giustificazione, ma che possono riguardare il professionista della salute? E’ forse quella dell’infermiere una professione fragile? Probabilmente lo è, in parte. Di certo è ad alto rischio di burn-out, come tutte le professioni di aiuto, ma ciò non è sufficiente al corpo sociale, a quello professionale e alla dimensione individuale, per capire cosa accade quando si diventa seviziatori e assassini. Lungo il percorso formativo di chi lavora in sanità, in particolare di chi sta a stretto contatto con le persone, come nel caso degli infermieri, OSS e medici, uno degli elementi percettivi che viene sviluppato riguarda la rottura del tabù dell’inviolabilità del corpo umano, l’imposizione obbligata di una prossimità e intimità fisica attraverso pratiche, interventi, cure e prestazioni a favore di una salute da garantire.
Dal più rassicurante touch care all’uso di manovre invasive al fine di dare farmaci, diagnosticare disturbi, eliminare lesioni, il bagaglio del professionista sanitario si struttura in un universo tecnico e professionale in cui il corpo umano diventa un mondo in cui è permesso entrare, con il rischio, purtroppo, di dimenticare che quel mondo appartiene ad un individuo altro da noi. Con il rischio di imporsi su quell’individuo, o di sovrapporsi oppure, perdendo qualsiasi riferimento etico e professionale, eliminando l’individuo stesso.
Giuramenti e codici etici, leggi (l’articolo 32 della costituzione sopra a tutte) governano questo mondo. O almeno tentano di farlo. E qualche volta non bastano.