COME DISTINGUERE L’ALZHEIMER DA ALTRE MALATTIE SIMILI: LA SPIEGAZIONE DEL DOTT. DIEGO BIANCHI

COME DISTINGUERE L’ALZHEIMER DA ALTRE MALATTIE SIMILI: LA SPIEGAZIONE DEL DOTT. DIEGO BIANCHI
Sempre più spesso agli esperti della malattia di Alzheimer sorge un enigmatico dubbio: è veramente Alzheimer?
La malattia di Alzheimer, è la prima forma devastante di demenza, descritta già nel lontano 1907 da Alois Alzheimer. Da allora poco si è riusciti a fare sia per diagnosticare con certezza la malattia sia per curarla. A complicare le cose, inoltre, è stata la scoperta di nuove forme di demenza, creando persino in seno ai ricercatori stessi amletici dubbi.
Il primo a dubitare del fatto che tutti coloro che presentavano i segni della demenza fu il Prof. Leonardo Bianchi, considerato il padre della neurologia italiana, proposto al Nobel nel 1925 per la scoperta sui lobi frontali, candidatura negatagli, per motivi politici, dal mancato assenso del governo italiano, allora guidato da Benito Mussolini.
In un congresso a Londra, l’illustre docente, contestò vivacemente la scoperta di Alzheimer, non nel merito, ma sulle cause, e cioè su quei depositi di proteina beta amiloide e grovigli neuro-fibrillari rinvenuti nei cervelli dei malati, ritenendo, invece, che la causa fosse quello che dopo molti anni è stato definito lo “stress ossidativo” e dalla vasculopatia cronica cerebrale.
Oggi a distanza di novanta e più anni non si è ancora trovato il sistema certo per differenziare senza rischio di errore le più comuni forme di demenza ma è probabile che avessero ragione entrambi. Per questo motivo oggi si parla di “demenza mista”.
C’è inoltre un altro fattore importante da aver presente, quasi tutti gli studi statistici effettuati sono americani, dove abitudini di vita, dieta, fattori ambientali e procedure di screening sono spesso diversi rispetto all’area mediterranea in cui viviamo.
Sovente, i pazienti visitati presentano sintomi quali l’agitazione psico-motoria, il delirio di persecuzione verso il coniuge o verso il figlio prediletto, le allucinazioni, il delirio “oppositivo”, il disturbo del linguaggio ed il disorientamento spazio-temporale, tutti sintomi riconducibili non alla malattia di Alzheimer, bensì alle demenze vascolari sottocorticali e fronto-temporali.
Attualmente, curare queste forme di demenza è molto difficile – ci spiega il Dott. Vincenzo Diego Bianchi – e le nostre uniche risorse possibili sono quelle di rallentare la malattia, attraverso la prescrizione di farmaci e la correzione delle abitudini di vita, della dieta, dei contesti casalinghi e familiari, al fine di stimolare le funzioni residue del cervello, ed insegnando a coloro che si occupano del malato (caregiver) come affrontare le varie situazioni.

dott. Diego Bianchi
Come si può migliorare la qualità della vita del paziente?
Fondamentale sarà, ai fini del risultato e della gestione del paziente, correggere farmacologicamente i sintomi negativi, come le allucinazioni, il delirio, l’aggressività, il vagabondaggio, l’agitazione psico-motoria, l’inversione del ciclo sonno-veglia, ecc. e non ultima la disidratazione cronica. Determinate accortezze miglioreranno la qualità della vita del paziente, riducendo anche i rischi legati ai sintomi.
Quali sono i rischi più gravi per i pazienti?
Questi pazienti, infatti, durante le crisi di agitazione psico-motoria, sono ad alto rischio di ictus od infarto del miocardio. Ridurre o correggere i sintomi negativi, infine, ridonerà dignità ai pazienti, migliorando anche lo stress dei familiari, provati da un’esperienza a dir poco devastante. Non riconoscere più nei gesti, nelle abitudini e nei comportamenti la propria madre o il proprio padre, produce spesso nei figli stress psico-emotivo che può portare a disperazione, depressione, annullamento del proprio “Io”, nel disperato tentativo, peraltro inutile, di cercare di fare il possibile per il proprio genitore o fratello.
In sintesi però, spetterà sempre al geriatra il ruolo di regista. Un ruolo determinante, faticoso fatto di disponibilità, buon senso, capacità di coinvolgimento e coraggio nella scelta dei farmaci, perché è solo con un accurato “lavoro di squadra” che si potranno ottenere i risultati sperati.
Ed allora, chiedersi se sarà veramente Alzheimer sarà finalmente meno importante.