- C’è qualcuno a cui abbiamo detto poche volte “grazie”.
Questa volta racconto una storia che indirettamente ho vissuto.
Marzo 2020, ultima settimana.
In quei giorni vivevamo tutti nel terrore: il terrore di perdere qualcuno, il terrore di quanto la chiusura forzata delle nostre attività potesse cambiarci la vita, il terrore di non capire cosa ci stesse succedendo intorno.
Immagini crude passavano al tg, numeri allarmanti ci spezzavano il fiato.
Presa dai mille pensieri, ho impiegato un po’ di tempo per fare quella telefonata.
“Pronto, mi senti? Come stai ?”
Non vedevo la mia amica, che per lavoro vive in Piemonte, da Natale.
Non ci chiamiamo spesso, lei sa che ci sono e viceversa.
“Come devo stare?” – pausa interminabile – “ Sto vivendo la morte. Contiamo i morti. “
Lei, una Operatrice Socio Sanitaria in una RSA per anziani, era in trincea. E io mi ero lamentata del lievito di birra finito nei supermercati.
“Ma ti stai riposando un po’?” le chiesi, con lo stupido tono con cui poni la domanda ignorante di turno nel momento esatto in cui ti accorgi di non essere niente.
“Mi riposo, ma non dormo. Ho il pensiero fisso di questa o quella signora che non ho fatto in tempo a lavare, che è positiva e forse a domani non ci arriva. I suoi parenti non la vedranno più, nemmeno da morta, e io non ho fatto in tempo a darle la dignità di un pannolone pulito.”
La dignità, amica mia, la stai personificando tu.
Ecco, questo avrei dovuto dirle.
Ma non gliel’ho detto, perché sono rimasta gelata dalla sua frase finale.
“Non sarò più la stessa; toglietemi queste immagini di devastazione dalla testa. Non sarò mai più la stessa.”
Oggi ci ripensavo, ripensavo che forse non abbiamo detto abbastanza volte “grazie” a I., la mia amica, ai suoi colleghi, agli infermieri e a tutti gli operatori sanitari:
l’odore di un pannolone da cambiare non saprà mai coprire il profumo della vostra dignità.





